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Nessun Elephas, mai, ha barrito in su
levando la proboscide a Dio, né brontolato con lui
grufolando nella paglia del circo; e nessun leo
né il cane domestico in salotto, né le cime
degli alberi hanno
sparpagliato un terrore blasfemo nell'aria
richiamando i fulmini
e nemmeno i lamentosi cetacei sono affiorati
con le preci nere dei morti.
I loro déi siamo noi, i padroni, e contro noi
si scagliano
ci azzannano, e ci rompono il collo
precipitando coi rami che hanno le fauci dentate.
Noi invece, sì, siamo noi il pianeta che prega.



(tratta da "Almanacco dello specchio", 2010-2011, Mondadori 2011)

 Lorenzo Mullon - 21/01/2012 15:31:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

C’è anche da dire che noi non siamo noi, chi degli umani è consapevole?
Inoltre, abbiamo perso il rapporto con la natura. Fine. Non ci può essere nessun rapporto autentico con la natura da parte degli abitanti delle metropoli. Non raccontiamoci palle: non basta fare la vacanzina al mare, e stupirsi per il tramonto, nel trambusto. O un giretto nel parco. O avere il salvaschermo con l’immagine della montagna. La natura non è un’immagine, è un segreto che coinvolge tutti i sensi, e soprattutto quelli nascosti. Li deve risvegliare. Ma chi capisce più queste cose? Forse solo intellettualmente, teorie.
Se gli esseri umani non abbandonano la vita artificiale, sono fottuti. Fottuti, chiaro?

 Giovanni Degli Esposti - 21/01/2012 12:25:00 [ leggi altri commenti di Giovanni Degli Esposti » ]

La visione antropologica della trascendenza ci porrebbe (noi umani) nella condizione di poter ascendere ad un rapporto, ancorchè imperfetto, con Dio. Ogni altra creatura non ha il senso della trascendenza, bensì solo quella della sopravvivenza (propria come singolo e della specie)da cui discendono le ferre leggi della natura soprattutto in termini di "catena alimentare" (cibo essenziale per sopravvivere), da qui le varie lotte ed uccisioni in natura... che a volte, al nostro senso ipocrita, fanno inorridire.
Ma qui il poeta compie una grande inversione, forse facendola solo intavvedere... o forse lasciandola operare al lettore (sempre che legga con animo aperto), con quel verso finale:"Noi invece, sì, siamo noi il pianeta che prega."
Che appare, almeno a me, non la chiusura di un concetto bensì l’apertura di un dialogo, tanto che io vedrei tranquillamente un punto interrogativo al termine del verso.
L’uomo ha veramente esaurito al compito trascendente di essere tramite tra il Creatore e il frutto della sua opera: il Creato?
O piuttosto non si è dimostrato più belva delle belve, ponendosi al vertice di ogni creatura solo per opprimere, devastare, uccidere, inquinare...?
E allora: quale preghiera può ascendere da questo pianeta/uomo? Se non la preghiera muta ed incosciente di ogni creatura oppressa (e puo’ essere anche il barrito ultimo di un elefante, ammazzato per strappargli le zanne, o il canto misterioso del capodoglio ferito a morte...)?
Non è certo il pianeta terra di oggi (se dovessimo riferirci solo all’umanità) l’immagine di un "pianeta che prega."



 Lorenzo Mullon - 21/01/2012 10:55:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

Siamo noi il pianeta che prega, sì, a volte, raramente ringrazia, spesso frega.
Però, chi può sapere, magari "un uccello in volo è un immenso giardino di delizie chiuso alla percezione dei nostri sensi" (cito a memoria).
E poi, a volte i cetacei in mare ci salvano la vita, e inoltre, gli unici animali aggressivi che ho incontrato finora sono quei cani abnormi e maledetti a causa della rabbia dei loro padroni metropolitani

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